mercoledì 5 dicembre 2018

Un Elisir per un'educazione emozionale

Ero rimasto a parlare di suono ed emozione... 
Quando, quindici anni fa, il progetto di avvio alla conoscenza del teatro musicale per la fascia d’età 6-13 Opera domani di AsLiCo propose come titolo dell’anno Elisir d’amore di Donizetti, ebbi l’occasione di parlare dalle pagine della guida didattica dell’importanza di renderci consapevoli del rapporto che lega suono ed emozione, dell’utilità di esercitarci a riconoscere le espressioni emotive della musica, nell’opera lirica e non solo. Torno sulle mie orme nella dispensa 2019, da un punto di vista simile ma nuovo.
I ragazzi delle medie di allora si sono fatti grandi, sono ormai adulti… Nel frattempo il mondo è cambiato non poco. E'  venuuto il tempo dei millennials, ragazzi della generazione digitale totale, connessi sempre e ovunque. Bambini e, ancor più, preadolescenti dei quali, sempre più spesso, si parla come di una generazione iper o anaffettiva: consapevole poco o nulla delle proprie emozioni, ancor meno capace di definirle, concettualizzarle nelle loro diverse sfumature, anche solo rapportate alla loro età. Con, di contro, una manifestazione di emozionalità sempre più estrema, verso gli estremi etichettati come iper-attivismo o a-patia.
E noi qui, ancora una volta, a chiederci se parlare di suono ed emozione sia indispensabile, necessario, attuale. Sì, con bisogni in parte uguali, in parte diversi e ampliati.
Riflessioni ineludibili su suono, musica; musica che esprime; potere persuasivo della musica; consapevolezza della funzione comunicativa della musica; descrizioni e relative correlazioni stanno alla base del moderno meccanismo della significazione musicale, quindi della comprensione (ascolto, ricezione) ed espressione (produzione, emissione) verso la consapevolezza che c’è un’espressività semantica del suono nella parola (prosodia), nel canto, nella musica strumentale, rapporto sono state compiute nell'ultimo quarto del Novecento, a partire da Fernando Dogana1 a Luca Marconi2 a Daniel J. Levitin3. Percorsi formativi costruiti su un approccio semiologico, cui è andata sovrapponendosi, con il nuovo millennio, un’emergenza di tipo emozionale.
L’atteggiamento socio-culturale di questi anni, con la sua tendenza sempre maggiore a proteggere il bambino dalle frustrazioni, è andato tragicamente confermando gli studi di Daniel Goleman di fine anni '90 che preconizzavano il rischio di compromissione delle capacità intellettuali e di apprendimento - su intelligenze anche dal Qi alto - in caso di scarse capacità di controllo sulla vita emotiva.4
Se è vero che una delle componenti fondamentali dell’Intelligenza Emotiva è l’accurata comprensione delle emozioni verso quella “alfabetizzazione emozionale” che passa attraverso l’identificare e dare un nome alle emozioni perché, come emerso in uno studio dell’UCLA con l’FMRI, “impegnare il proprio cervello in una attività “razionale” come il dare un nome a qualcosa (in questo caso le emozioni provate) riduce la forza e l’impero della reazione emozionale (nell’amigdala, la parte del cervello responsabile delle reazioni primordiali)5 , ci serve che la musica sia strumento quotidiano di una didattica delle emozioni, proposta e vissuta a scuola non come “materia dell’obbligo” ma come abitudine connaturata alla vita nell’essere con-sapevole delle proprie emozioni.
I videogiochi, i social, i touch-screen e le tecnologie digitali più in generale impegnano l’attenzione e il coinvolgimento psicofisico delle nuove generazioni per un tempo davvero molto ampio della giornata, con costanza giorno dopo giorno. I nostri studenti attraverso la vista si nutrono di una narrazione che, se da un lato esalta lo scontro finalizzato all’affermazione del proprio sé, dall’altro organizza la moltitudine delle loro solitudini”.6

Riconoscere è il primo step: passa attraverso l’ascolto e il fare. Mentre Opera Education torna, tre lustri dopo, a proporre a migliaia di bambini e ragazzi Elisir d’amore di Donizetti, diventa ancor più fondamentale riconoscere le espressioni emotive della musica come tappa nel quotidiano della necessità di costruire con i bambini e rafforzare nei preadolescenti quell’alfabeto emozionale che sta alla base delle capacità interpersonali essenziali. 
“Mente e cuore hanno bisogno l’una dell’altro. Oggi è proprio la neuroscienza che sostiene la necessità di prendere molto seriemente le emozioni”.7 
L'ultima frontiera scientifica non fa che confermarci il tutto. A noi trovare la consapevolezza e tutti gli strumenti pedagogici adeguati.


1 Dogana F., Suono e senso. Fondamenti teprici ed empirici del simbolismo fonetico, Franco Angeli, Milano, 1988
2 Marconi L., Musica espressione emozione, CLUEB, Bologna, 2001
3 Levitin D. J., Fatti di musica. La scienza di un’ossessione umana, Codice edizioni, Torino, 2008 disponibile online http://www.codiceedizioni.it/files/2010/07/978887578982.pdf
4 Goleman D., Intelligenza emotiva, RCS Libri, Milano, 1999-2011, p. 58. Quanto presagito nella prefazione all’edizione italiana (pp. 5 – 7) in tema di crisi sociale e malessere emozionale è andato nel tempo, purtroppo, progressivamente ampliandosi, anziché venir gestito.
5 Studi sull’Intelligenza Emotiva nelle Scuole, Six Seconds Italia, www.6seconds.it
6 Iovino A., Spaccazocchi M., Educare è altra cosa, FrancoAngeli, Milano 2015, p. 19
7 Goleman D., cit., p. 7

martedì 6 febbraio 2018

LA QUARTINA RITROVATA Cimarosa a Cantù: il racconto di un soggiorno fra musica, amore e una poesia completata


Ogni tanto a Cantù si torna a parlare di Domenico Cimarosa. L’occasione recente è la volontà di intitolare una nuova orchestra da camera cittadina al celebre compositore che fu a Cantù nell’autunno del 1784. L’omaggio mancava, se si pensa che il nome di Cantù spicca dentro le biografie passate e recenti cimarosiane di mezzo mondo, enciclopedie online comprese, ormai da un secolo e mezzo.
Cimarosa, a 35 anni famoso e acclamato, nell’ottobre 1784 era giunto a Milano per il debutto de “I due supposti conti” con in mano la scrittura del Regio di Torino per comporre e portare in scena il 26 dicembre un nuovo “Arteserse” su libretto di Metastasio. Francesco Antonio Pietrasanta, “principe” di Cantù ma soprattutto colonnello del Reggimento siciliano e figlio del Comandante supremo delle Milizie del Re di Napoli, lo aveva invitato a trascorrere una vacanza presso i suoi possedimenti canturini.
Un secolo dopo, a mettere in moto una memoria storica originale e ben ingegnata arriverà il rinvenimento della “Canzonetta buffa sulla partenza del maestro Cimarosa da Cantù”. Saluto spiritoso, ringraziamento e diario breve in soli versi tra lo scherzoso e il nostalgico, comprendente il riferimento a una possibile avventura sentimentale con la giovane allieva di canto canturina Antonia Mazzucchelli, la Canzonetta finì tra le mani del nuovo proprietario del Palazzo affacciato sulla Piazza di Cantù, Giuseppe Salterio, che la affidò al prestigioso archeologo Alfonso Garovaglio.
Fin qui, storicamente, nulla di nuovo. E’ assodato che lo storico canturino, ormai da anni domiciliato a Milano ma periodicamente di ritorno nella casa canturina a due passi dall’attuale Teatro San Teodoro, si fece tramite presso gli editori musicali Ricordi per la presentazione al pubblico del manoscritto nell’Esposizione Musicale milanese del 1881. Casa Ricordi scaltramente censurò una quartina della Canzonetta come palesemente “osée”, e cavalcò la notizia pubblicando una serie di articoli sulla sua Gazzetta Musicale di Milano e un volumetto “A proposito di Domenico Cimarosa e del suo soggiorno in Cantù”, a firma Pacifico Rattoni.
Tornata la Canzonetta sul fondo del suo baule o, molto più prosaicamente, nelle dotazioni di qualche archivio privato, in molti hanno dissertato per oltre cent’anni sul secolo dei lumi a Cantù e sulla biografia cimarosiana, trascurando completamente qualsiasi aspetto musicologico, a partire dalla possibilità dell’esistenza di una riga di musica legata alla Canzonetta o di possibili rapporti con l’Artaserse in via di completamento. Finché lo studio sistematico su Alfonso Garovaglio compiuto in anni recenti da ricercatori attenti come Maria Cristina Brunati non ha aperto un paio di spiragli curiosi che mettono in una luce diversa la posizione dello storico e archeologo in tutta la vicenda della Canzonetta. Dall’epistolario di Garovaglio sono uscite due lettere, una spedita da Cantù nel 1881 nella quale Giuseppe Salterio accompagna l’invio a Garovaglio della Canzonetta auspicando un riconoscimento d’autenticità in occasione dell’Esposizione, l’altra del marzo 1884 nella quale il conte Sola prega di “favorirgli i versi che il Ricordi ha giudicato di ommettere (sic)”.
Ma soprattutto, in maniera arcana almeno quanto il ritrovamento della Canzonetta, dal risvolto della copertina di un taccuino di Garovaglio conservato alla Civica Raccolta di Stampe Bertarelli di Milano, sono usciti due minuscoli quadernini di appunti, il secondo dei quali, al foglio 14, riporta con grafia curata la quartina epurata. “Tutto feci con piacere / Tu lo sai mia Mazzucchella / Ed intanto una casella / Mai volesti a me donar. / Dimmi un po’ se jo qui restassi / Mi daresti qualche cosa? / Ma che dici o Cimarosa / Tu cominci a delirar”. I versi ci fanno sorridere, compreso il doppio senso da preadolescente, ma restituiscono definitivamente l’atmosfera del tempo. Piuttosto: la musica? La metrica della Canzonetta e più d’un mezzo verso collimano con le arie del terzo atto di Artaserse, di cui oggi si può consultare on line il manoscritto conservato al Conservatorio napoletano di San Pietro a Majella (e mai pubblicato, a dire il bisogno di una “Cimarosa renaissance”).
L’idea del musicista napoletano che fa il verso a Metastasio, affacciato a guardare il sole che tramonta dietro il Monte Rosa canticchiando la  Canzonetta sulla melodia dell’aria di Arbace “Quanto è grave il mio tormento” appena composta, vale un concerto come quello che l’Orchestra Cimarosa di Cantù terrà stasera al San Teodoro. Con più di un nuovo dubbio nell’aria: quanto pesò il contributo di Alfonso Garovaglio in tutta la riscoperta? Quanto potrebbero la sua figura e quella della firma di Pacifico Rattoni coincidere? Ce n’è per parlarne, e a lungo ancora, sperando che Cantù, oggi così ricca di musica, faccia sempre più sua la figura del buon Cimarosa.