domenica 27 maggio 2012

gli esami in Conservatorio son tornati


Messi alla porta dalla recente riforma degli studi musicali, rientrano dalla finestra sotto forma di “esami di certificazione, aperti  anche a studenti esterni”. Vera innovazione pedagogica o rinnovo di facciata?


L’avvio dei Licei Musicali statali del 2010 e il relativo completamento della riforma degli studi musicali in Italia – durata oltre dieci anni per la sua completa attuazione, dopo essere stata invocata e attesa da più parti per qualche decennio – è avvenuto con una grande lacuna nel sistema di istruzione e formazione alla musica del nostro Paese: la mancanza un indirizzo chiaro sulla possibilità di valutare e certificare la preparazione degli studenti di musica nel loro cammino di studi dall’inizio all’Università. Nel giro di pochi mesi  il sistema musicale nostrano, orfano del vecchio impianto che prevedeva la possibilità ai molti studenti di musica estranei ai Conservatori di sostenere esami di compimento di segmenti di studio progressivi (peraltro riferiti a programmi classici risalenti al 1930), ha dovuto guardare in volto alla realtà di non essersi mai organicamente occupato di declinare in modo moderno il curricolo pedagogico degli studi musicali e di specificare metodi di valutazione e modalità di certificazione delle competenze progressivamente raggiunte dagli studenti di musica. Un vuoto di pensiero che, escludendo isole particolari come i corsi ad indirizzo musicale inseriti nelle Scuole medie statali fin dai primi anni Ottanta, risultava tanto incomprensibile nel quadro formativo nazionale quanto sconsolatamente reale.
Esclusa – nell’ambito di una Scuola dell’autonomia in auge dalla fine anni Novanta – l’idea che un’indicazione generale potesse essere calata dall’alto, per normativa ministeriale, i Conservatori, già vicini alla scadenza che imponeva loro di declinare l’articolazione degli studi di quello che, di fatto, era diventato il segmento di studi accademico, ma per nulla rassegnati a perdere in toto la fascia di studi iniziale, con l’offerta di un “ampliamento dell’offerta formativa” attraverso i corsi di studio “pre-accademici” paralleli alla proposta musicale statale di scuola Secondaria, hanno iniziato a diffondere Programmi di studio relativi al periodo di studi iniziale  e aperto anche a studenti esterni al Conservatorio la possibilità di sostenere gli esami di valutazione di fine periodo e ottenere la conseguente certificazione delle competenze acquisite.
Nulla di male, fin qui: una risposta all’indiscutibile bisogno di valutazione del livello di preparazione raggiunto dagli studenti di musica di qualsiasi formazione era, come minimo, doverosa, atto dovuto di una normale programmazione pedagogica degli anni Duemila. Se non fosse che i tempi e i modi di attuazione lasciano il dubbio che questa risposta sia più sbrigativo bisogno del Conservatorio di attestarsi in un primato di autoreferenziale superiorità che l’atteso completo ed approfondito aggiornamento da consegnare a scuole, docenti e allievi degli anni dal 2010 in avanti relativamente a metodologie, programmi, repertori, generi e stili corrispondenti alle potenziali competenze raggiungibili dagli allievi musicisti di fascia d’età fino al 18 anni.
Per argomentare ciò bisogna spostare l’attenzione sui programmi, che nelle certificazioni internazionali prendono il nome di Syllabus. A cominciare dal fatto che quello di un Conservatorio è “un” Syllabus: non è programma nazionale, può essere diverso da quello della provincia limitrofa, non ha alcun valore legale spendibile, può far riferimento a “un certo” curricolo formativo e di repertorio non dico universale ma neppure necessariamente completo (Solo una visione preminentemente classica?Quand’anche, perché certi studi e repertori classici e non altri di pari livello? Nuovi programmi, frutto di un’analisi storico metodologica moderna, o riciclaggi grossolani dei Programmi R.D.1930? Se un allievo, nel mondo globalizzato d’oggi, si costruisce abilità tecniche pari o superiori su un repertorio diverso da quello indicato dal Syllabus di quel tal Conservatorio, non può avere le competenze certificate?).  Continuando su questa linea, si potrebbe argomentare che qualsiasi agenzia di formazione potrebbe articolare un proprio Syllabus e rilasciare certificazioni di competenza: ammesso che buona parte delle agenzie libere e private non trovino la voglia e non riescano a supportare il peso di ricerca e organizzativo di elaborare un Syllabus (ma non è detto), viene da pensare che l’ambito della Scuola Secondaria statale di primo e secondo grado, ovvero Corsi ad indirizzo musicale ex SMIM e Licei Musicali abbiano tutto il diritto di formulare propri Syllabus e certificare l’acquisizione di competenze; tra l’altro, questi ordini di scuole rispondono a Indicazioni nazionali se non addirittura a vere e priprie indicazioni programmatiche nazionali come quelle tuttora vigenti nel decreto di riconduzione a ordinamento delle SMIM del 1999.
 Non volendo pensare ad un “divide et impera” da parte dei Conservatori, vedo come urgente il  fare molta chiarezza nei confronti dell’ambiente formativo musicale: alunni, famiglie, istituzioni pubbliche o libere / private che siano hanno il diritto anche in questa fase transitoria e liberamente autonoma di essere chiaramente informati e capire.
Dopo di che, come membro di una recentemente costituita Commissione di supporto all’indirizzo musicale statale per la Provincia di Como, mi piacerebbe pensare, oltre all’intenzione di lavorare su un Syllabus, di poter condividere studio ed elaborazione a livello verticale. Sempre che l’unitarietà e la progressività del curricolo formativo musicale dei nostri figli ed oltre interessi a tutti gli operatori a tutti i livelli.

sabato 31 marzo 2012

flauti dolci spezzati... o educazione musicale demolita?


Non ci sarebbe da dire molto altro, a far seguito le nitide prese di posizione del Csmdb di Lecco o di Mario Piatti che rilancio subito di seguito. Se non per puntualizzare che non si tratta di una querelle interna al mondo dell’educazione musicale italiana, bensì della più lampante tragedia educativa del sistema scolastico italiano dal nuovo millennio, la brutalizzazione dell’educazione al suono e ala musica.
Detto questo, credo che l’unica soluzione possibile sia collegare e riunire le forze responsabili “dal basso” per dar forma a ciò che dall’alto viene ignorato e vilipeso. Mettendo da parte l’autoreferenzialità propria del musicista, sfruttando i lati buoni dell’autonomia, è tempo di mettere in rete ogni forza sana per dar corpo a un curricolo verticale chiaro, che indichi la via per far musica a tutti tanto quanto coltivare le eccellenze in modo efficace e formativo a 360°, offrire formazione, mettere in relazione tutte le forze sane con la scuola come punto di riferimento onesto e aperto.

Csmdb Lecco:
A PROPOSITO DI FLAUTO DOLCE E DI MUSICA A SCUOLA
Ancora una volta il mondo dell'educazione musicale è animato da una polemica che parte da un episodio di disinformazione e di deprezzamento della musica a scuola.
Al termine dell'intervista al giovane direttore d'orchestra Andrea Battistoni nella trasmissione "Che tempo che fa" del 24 marzo u.s., con riferimento a un passo del libro di Battistoni "Non è musica per vecchi", Fabio Fazio ha ipotizzato, con un gesto evidente, di spezzare in due i "flauti dolci" dei propri figli, considerandoli quindi un oggetto non confacente alla formazione e all'educazione. Il gesto e le parole che lo avevano preceduto hanno teso a mettere in evidenza una supposta deficienza dell'educazione musicale nelle scuole, in particolare nei riguardi della cosiddetta "musica d'arte".
A prescindere dal fatto che il flauto dolce è uno strumento con una propria dignità, usato in diversi generi musicali, scelto per la relativa facilità d'uso e per il buon rapporto qualità/prezzo rispetto ad altri aerofoni. Nelle scuole ci sono comunque anche tanti altri strumenti, tra cui quelli portati da casa dagli studenti e acquistati dalle famiglie che ormai devono farsi carico di tante spese (dalle risme di carta per le fotocopie, alla carta igienica, ecc.). È ovvio considerare che se le scuole fossero messe in grado, con opportuni finanziamenti, di avere a disposizione un buon numero di strumenti musicali, magari con laboratori musicali adeguatamente attrezzati, gli insegnanti avrebbero la possibilità di fare coi ragazzi esperienze musicali molto più complete e gratificanti.
Ciò che comunque infastidisce di più, e non è la prima volta che accade nel programma di Fazio, è la superficialità e la non sufficiente competenza con cui si parla di musica a scuola, anche quando a parlare sono illustri personaggi del mondo musicale che di quanto accade realmente a scuola ogni giorno sanno poco o nulla, oltre ad ignorare quasi completamente la storia della pedagogia musicale italiana.
Da almeno quarant'anni anche in Italia ci sono persone, associazioni, editori, riviste, gruppi, ricercatori oltre ad insegnanti di scuola dell'infanzia, primaria e secondaria che portano avanti con grande professionalità questo bellissimo lavoro e la riflessione sui modi più efficaci per farlo.
Viene da chiedersi come mai nel “servizio pubblico” non si dia la parola anche a loro, a chi cioè opera nel settore con competenza e con sacrificio, a qualcuno (e ce ne sono tanti) che sappia dimostrare come sia possibile coinvolgere i ragazzi nel fare e ascoltare musica, attivando cori e gruppi strumentali di buon livello, all’altezza delle altre scuole europee. Prevale sempre invece il luogo comune della povertà musicale nella scuola italiana, che certamente esiste, come in qualsiasi altro campo. Ma forse in questo momento sarebbe meglio valorizzare prima le buone prassi, dando voce alle  tante professionalità e competenze specifiche maturate in questi decenni.
Non stona poi ricordare lo stato di disinvestimento in cui si dibatte la scuola e al suo interno la disciplina musicale dopo il taglio delle ore del tempo pieno nelle primarie, del tempo prolungato alle medie, la non obbligatorietà di almeno un'ora di musica nelle scuole superiori (anche in quelle di indirizzo umanistico e socio-pedagogico), alla reticenza degli Uffici Scolastici Regionali per l'apertura dei corsi a indirizzo musicale nelle scuole secondarie di primo grado, alla non assunzione e di personale qualificato per attuare nelle scuole primarie quanto previsto per altro dalle Indicazioni nazionali per il curricolo.
Ci auguriamo che quanto prima anche in qualche buon programma televisivo, come reputiamo sia "Che tempo che fa", si possa far conoscere il bello e il buono che anche con la musica si fa nella scuola italiana.

Il Comitato scientifico del Centro Studi musicali e sociali Maurizio Di Benedetto di Lecco
La Redazione della rivista on-line Musicheria.net


Lettera di Mario Piatti a Fabio Fazio:
Gentile Fabio Fazio

non mi è piaciuto, al termine della puntata del 24 marzo, il suo gesto di spezzare in due i "flauti dolci" che ha a casa. E' stato un gesto forse accondiscendente verso il suo giovane interlocutore Andrea Battistoni che ha ritenuto di individuare nell'uso dei flauti dolci nelle scuole medie la causa dello "scarso amore per la musica da parte dei giovani italiani", come riportato anche in un ampio comunicato dell'Adnkronos. E' stato però un gesto offensivo verso tutti quegli insegnanti che, ANCHE col "flautino", riescono a far fare un po' di musica ai ragazzi, nonostante il poco tempo e gli scarsi mezzi a disposizione. I ragazzi e gli insegnanti sarebbero felici di poter fare musica con tanti altri strumenti: il fatto è che le scuole non hanno nemmeno i soldi per la carta igienica, figuriamoci per gli strumenti musicali da mettere a disposizione dei ragazzi.
Dov'era Battistoni, e dov'era Lei, Fazio, e dov'erano Morricone, Piovani, Accardo, Battistelli (i musicisti interpellati dall'Adnkronos) quando sono state tolte le ore di musica nelle scuole superiori, ridotto il tempo scuola nelle medie, tagliato il tempo pieno durante il quale molti insegnanti facevano musica? Perché non avete fatto sentire la vostra voce affinché fosse mantenuta almeno un'ora di musica e affinché le scuole potessero dotarsi di attrezzati laboratori musicali?
Gentile Fazio, oso chiederLe una trasmissione riparatrice, in cui si faccia conoscere quanto di bello si fa nelle scuole italiane con la musica: centinaia e centinaia di cori, un migliaio di ensemble orchestrali che si esibiscono in rassegne e concorsi, e che faranno sentire la loro voce in occasione della Settimana nazionale della musica a scuola indetta dal Ministero nel prossimo mese di maggio (cfr.: http://www.istruzione.it/web/istruzione/prot642_10). Una documentazione al riguardo la trova anche sul sito del Comitato nazionale per l'apprendimento pratico della musica: http://archivio.pubblica.istruzione.it/comitato_musica_new/index.shtml.
Insomma: siamo stanchi dei soliti luoghi comuni che illustri musicisti, dall'alto dei loro comodi e ben pagati scranni, propinano in continuazione in merito alla presunta assenza della musica a scuola. Il loro amore e la loro passione per la Musica non giustifica la loro ignoranza sulla reale situazione di ciò che migliaia di insegnanti fanno per appassionare i ragazzi alle molteplici manifestazioni delle musiche del mondo (e non solo alla cosiddetta musica classica occidentale).
Nella speranza di ascoltare prima o poi anche a Che Tempo che Fa qualche voce "fuori dal coro" di chi deprezza o misconosce quanto di bello si fa nelle scuole con la musica, la saluto cordialmente e la ringrazio dell'attenzione.
[Mario Piatti] 


mercoledì 14 marzo 2012

"Canta come mangi": gustare la musica dei territori


La canzone dialettale è la grande realtà della canzone d’autore italiana di oggi, una realtà che aumenta vertiginosamente. Cultura locale, territori, identità, nell’epoca artistica della contaminazione - o, come più recentemente si usa dire, della germinazione - sono concetti a rischio inflazione, se non si trovano strade significative di radicamento e creatività in campo poetico, musicale ma anche di altri piani sensoriali come quello del gusto. Cosa meglio di offrire al pubblico una passerella dal vivo di personaggi musicali attivi nel ridare dignità alla propria lingua locale con la musica?
Antonio Silva, anima del Premio Tenco sanremese e ben noto in terra comasca per essere stato per trent’anni brillante preside del Liceo Fermi di Cantù. Silva oltre a dedicarsi alle proprie passioni musicali e culturali (per il Tenco ascolta, in qualità di selezionatore, circa 700 CD di cantautori emergenti: “li ascolto tutti, dalla prima all’ultima traccia, con attenzione”, ha dichiarato convinto), coltivava da tempo quest’idea, che prende forma a Cantù con una mini rassegna musicale e culinaria di qualità, in tre serate da vivere con il gusto della bella emozione il più possibile sinestesica.
Gli appuntamenti del ciclo “Canta come mangi”, in cartellone da venerdì 23 marzo (dettagli su www.teatrosanteodoro.it) non saranno né specialistici contesti etnomusicologici né, tantomeno, serate da sagra paesana. C’è sempre più canzone dialettale che si colloca nell’area intrigante della canzone d’autore, con la ripresa dei linguaggi delle realtà particolari a far da richiamo. Se poi a parlare e far musica, fra gli elementi identificativi di una comunità, si riesce ad unire l’esperienza del mangiare, tanto meglio. Duecento i posti al San Teodoro, un’ottantina quelli che permetteranno di abbinare all’emozione d’ascolto quella culinaria (patron lo chef  Romano Pirazzi): un’occasione gustosa per confrontare come gli artisti leggono oggi le proprie radici e i propri territori, passando per il linguaggio parlato ma anche portando in luce – ed è ciò che ci interessa maggiormente - i percorsi musicali. E’ indubbio infatti che, mentre al sud il legame forte con la lingua parlata della cultura del territorio vale anche per ritmi e sonorità (esempio lampante, pizzica e taranta), al nord a risultare più invasivamente sono musicalità  country o irish, non proprio riconducibili alla radice popolare locale più immediata. Scelte della storia recente, tutte da considerare verificandole con quelle degli ospiti invitati a Cantù il 23 marzo con il Nord de I Luf, Yo Yo Mundi e il Bepi, il 20 aprile con il Centro del romanesco Piotta, Cisco, Gastone Pietrucci, l’11 maggio con il Sud di Alessio Lega, Roberta Carrieri e Peppe Voltarelli.

sabato 18 febbraio 2012

la formazione nell'agenda della città di Como

Nulla di nuovo in musica, per ora.

Bene ha fatto Bruno Dal Bon, per conto della sua Università Popolare di Musica, a mettere il tema della formazione in cima agli incontri sullo stato della musica a Como, ospitati da venerdì 17 febbraio dall’editoriale Etv-Corriere di Como nel proprio nuovo atrio-auditorium dell’ex Mantero di via Sant’Abbondio: occasione sempre proficua, soprattutto in tempi pre-elettorali, rara anche se non assolutamente nuova (ne ricordiamo promosse dall’Autunno Musicale, dal Carducci, dall’Amministrazione Provinciale, anche se con periodicità decennale o poco meno). Temi come la formazione musicale sul territorio, su cui oggi più che in altri tempi grava dall’alto (in male e in bene) l’ipoteca della riforma epocale degli studi, non si risolvono certo in una sera e in una tavola rotonda; di certo rimane - oltre il bell’incontro, le descrizioni degli “status” positivi in atto da parte di ciascuna delle istituzioni presenti Conservatorio, Liceo Musicale, Aslico, iniziative private, le convinzioni e certezze sul senso della cultura a Como, le disponibilità a parlare e venirsi incontro – la sensazione pregressa del sostanziale immobilismo fra pianeti di una galassia che non ha mai veramente saputo orbitare in sinergia.

Capisco non poter dire palesemente in una tavola rotonda di un Conservatorio attivo ma ancora combattuto al suo interno fra una riforma in itinere da tre lustri e le tentazioni "vecchio ordinamento"; di un Liceo Musicale in decollo appesantito dalle burocrazie; di un mondo formativo privato ancora sostanzialmente incapace di leggere il nuovo che avanza e collocarsi in esso con percorsi creativi autonomi, aggiornati e utili alla cultura e all’occupazione. A momenti, però, fra cotanto amor di cultura, il meglio per un attimo è sembrato lo sbocco concreto offerto dallo studio di registrazione cittadino che si candida ad offrire sbocchi occupazionali e formativi tecnologici fra la creazione di un jingle e la colonna sonora di un videogioco, con buona pace del legittimo, onesto, dichiarato intento commerciale...

Di fronte a molta, legittima idealità culturale stride che il Conservatorio, quest’anno, “aveva” un dipartimento di Didattica; di fronte ai dubbi riguardo al fatto che nel Liceo Musicale (sguarnito ancora dall’alto della classi di insegnamento e di docenti stabili nominati per concorso, quindi guardato con dubbio da più parti) 20 liceali per classe ammessi sono pochi, ma formeranno a regime un’utenza di 250 alunni, stride l’idea che il Conservatorio, con il peraltro abbondante suo mezzo migliaio di allievi complessivo dall’età scolare al post-laurea, non è forse mai stato né sarebbe oggi comunque in grado di ammettere in pari numero nella fascia d’età liceale; di fronte all’iniziativa didattica musicale privata comasca, certo faticosa oggi, orfana per legge della possibilità di fare il “Conservatorio parallelo”, stride la relativa capacità di darsi nuove identità che riconoscano pedagogie e metodologie utili a rispondere a sé e all’utenza che cambia.


Cosa serve, per essere concreti?

Una formazione metodologica seria degli operatori; sinergia vera fra pubblico e privato con ricerca, studio, creatività metodologica, per creare progetti sinergici utili a formare fin dalla nascita con competenza e attenzione alle nuove sfide ed esigenze (globalizzazione, multiculturalità, salvaguardia delle nostre tradizioni); gli esempi di alto livello e resa in Italia, dal Trentino alla Toscana, ci sono. Servono energie, apertura mentale, confronto reale, meno resistenze nostalgiche e ancoramenti, alla formazione musicale a Como. Questo compete a tutte le istituzioni in gioco e dev’essere il jingle del videogioco che è la vita culturale e musicale, di chi onestamente opera tutti i giorni per insegnare musica con competenza e dei giovani preparati che a formare alla musica aspirano.