LA QUARTINA RITROVATA Cimarosa a Cantù: il racconto di un soggiorno fra musica, amore e una poesia completata
Ogni tanto a Cantù si torna a parlare di Domenico Cimarosa. L’occasione recente è la volontà di intitolare
una nuova orchestra da camera cittadina al celebre compositore che fu a Cantù nell’autunno
del 1784. L’omaggio mancava, se si pensa che il nome di Cantù spicca dentro le
biografie passate e recenti cimarosiane di mezzo mondo, enciclopedie online
comprese, ormai da un secolo e mezzo.
Cimarosa, a 35 anni famoso e acclamato, nell’ottobre 1784 era
giunto a Milano per il debutto de “I due supposti conti” con in mano la
scrittura del Regio di Torino per comporre e portare in scena il 26 dicembre un
nuovo “Arteserse” su libretto di Metastasio. Francesco Antonio Pietrasanta, “principe”
di Cantù ma soprattutto colonnello del Reggimento siciliano e figlio del Comandante
supremo delle Milizie del Re di Napoli, lo aveva invitato a trascorrere una
vacanza presso i suoi possedimenti canturini.
Un secolo dopo, a
mettere in moto una memoria storica originale e ben ingegnata arriverà il rinvenimento della “Canzonetta buffa
sulla partenza del maestro Cimarosa da Cantù”. Saluto spiritoso, ringraziamento
e diario breve in soli versi tra lo scherzoso e il nostalgico, comprendente il
riferimento a una possibile avventura sentimentale con la giovane allieva di
canto canturina Antonia Mazzucchelli, la Canzonetta finì tra le mani del nuovo
proprietario del Palazzo affacciato sulla Piazza di Cantù, Giuseppe Salterio,
che la affidò al prestigioso archeologo Alfonso Garovaglio.
Fin qui, storicamente, nulla di nuovo. E’ assodato che lo
storico canturino, ormai da anni domiciliato a Milano ma periodicamente di
ritorno nella casa canturina a due passi dall’attuale Teatro San Teodoro, si fece
tramite presso gli editori musicali Ricordi per la presentazione al pubblico
del manoscritto nell’Esposizione Musicale milanese del 1881. Casa Ricordi scaltramente
censurò una quartina della Canzonetta come palesemente “osée”, e cavalcò la
notizia pubblicando una serie di articoli sulla sua Gazzetta Musicale di Milano
e un volumetto “A proposito di Domenico Cimarosa e del suo soggiorno in Cantù”,
a firma Pacifico Rattoni.
Tornata la Canzonetta sul fondo del suo baule o, molto più
prosaicamente, nelle dotazioni di qualche archivio privato, in molti hanno
dissertato per oltre cent’anni sul secolo dei lumi a Cantù e sulla biografia
cimarosiana, trascurando completamente qualsiasi aspetto musicologico, a
partire dalla possibilità dell’esistenza di una riga di musica legata alla
Canzonetta o di possibili rapporti con l’Artaserse in via di completamento. Finché
lo studio sistematico su Alfonso Garovaglio compiuto in anni recenti da
ricercatori attenti come Maria Cristina Brunati non ha aperto un paio di
spiragli curiosi che mettono in una luce diversa la posizione dello storico e
archeologo in tutta la vicenda della Canzonetta. Dall’epistolario di Garovaglio
sono uscite due lettere, una spedita da Cantù nel 1881 nella quale Giuseppe
Salterio accompagna l’invio a Garovaglio della Canzonetta auspicando un
riconoscimento d’autenticità in occasione dell’Esposizione, l’altra del marzo
1884 nella quale il conte Sola prega di “favorirgli i versi che il Ricordi ha
giudicato di ommettere (sic)”.
Ma soprattutto, in maniera arcana almeno quanto il
ritrovamento della Canzonetta, dal risvolto della copertina di un taccuino di
Garovaglio conservato alla Civica Raccolta di Stampe Bertarelli di Milano, sono
usciti due minuscoli quadernini di appunti, il secondo dei quali, al foglio 14,
riporta con grafia curata la quartina epurata. “Tutto feci con piacere / Tu lo
sai mia Mazzucchella / Ed intanto una casella / Mai volesti a me donar. / Dimmi
un po’ se jo qui restassi / Mi daresti qualche cosa? / Ma che dici o Cimarosa /
Tu cominci a delirar”. I versi ci fanno sorridere, compreso il doppio senso da
preadolescente, ma restituiscono definitivamente l’atmosfera del tempo. Piuttosto:
la musica? La metrica della Canzonetta e più d’un mezzo verso collimano con le
arie del terzo atto di Artaserse, di cui oggi si può consultare on line il
manoscritto conservato al Conservatorio napoletano di San Pietro a Majella (e
mai pubblicato, a dire il bisogno di una “Cimarosa renaissance”).
L’idea del musicista napoletano che fa il verso a Metastasio,
affacciato a guardare il sole che tramonta dietro il Monte Rosa canticchiando la Canzonetta sulla melodia dell’aria di Arbace
“Quanto è grave il mio tormento” appena composta, vale un concerto come quello
che l’Orchestra Cimarosa di Cantù terrà stasera al San Teodoro. Con più di un
nuovo dubbio nell’aria: quanto pesò il contributo di Alfonso Garovaglio in
tutta la riscoperta? Quanto potrebbero la sua figura e quella della firma di
Pacifico Rattoni coincidere? Ce n’è per parlarne, e a lungo ancora, sperando
che Cantù, oggi così ricca di musica, faccia sempre più sua la figura del buon
Cimarosa.
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