2013: Verdi, Wagner e Como

Verdi, Wagner, Como: un triangolo inaspettatamente ricco.
Ecco un primo aggiornamento di occasioni e ricorrenze in riva al Lario nel bicentenario della nascita dei due grandi coetanei dell'opera dell'800.


quando wagner venne in gita a Como

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“Partii per Como in una meravigliosa giornata di primavera, e vi trovai la più lussureggiante fioritura”.
Le poche parole, che lasciano aperta l’immaginazione a un passaggio di sfuggita come, forse, a una sosta appena prolungata nel capoluogo lariano, sono di Richard Wagner. La primavera è quella del 1859: il profeta dell’Opera d’arte totale, del quale quest’anno ricordiamo il bicentenario della nascita insieme a Giuseppe Verdi, sta lasciando con una certa fretta Venezia, dove ha vissuto sette mesi lavorando al secondo atto di “Tristano e Isotta”. I venti di guerra di quella che, di lì a un mese, sarebbe stata la Seconda guerra d’indipendenza, hanno spento nell’animo del compositore la sensazione della laguna come luogo sereno dove vivere e lavorare.
“Dove avrei composto il terzo atto? Volevo in ogni caso cominciarlo solamente in un posto dove avessi anche probabilità di terminarlo indisturbato, e a Venezia questo non pareva il caso”, si legge ne “La mia vita” poco prima di trovar nominato Como: la scelta cade su quella Svizzera che lo ha ospitato fin dall’inizio degli anni ’50.
Affidato il grosso dei bagagli al trasporto con il quale avrebbe valicato le Alpi il suo pianoforte Erard, Wagner viaggia usando la strada più celere e diretta del momento, quella ferrata. All’andata, scendendo da Zurigo attraverso il Sempione, il compositore non si era fatto mancare una sosta nell’amato giardino a terrazze dell’Isola Bella, in un “meraviglioso pomeriggio di tarda estate”; il Verbano è per lui simbolo caro dell’accesso in Italia. Se, in quel caso, il mezzo del treno s’era imposto solo da Milano a Venezia, in questo ritorno volutamente più risoluto il treno gli si offre come occasione più sicura e spedita, giungendo la ferrovia fin quasi al confine con il territorio elvetico.
Wagner può perfino concedersi tre giorni di visita a Milano – che aveva rimpianto di non visitare all’andata - a partire dal 24 marzo. Insieme alla visita al Cenacolo di Leonardo, al Duomo fin sulle guglie e a una serata di commedia goldoniana nel popolare Teatro Re (in pieno centro, più o meno dove oggi è via Pellico), Wagner decide di assistere a una prima alla Scala: scelta che vale il giudizio di “una prova di grande degenerazione del gusto artistico italiano”. Chissà se il commento sarebbe stato altrettanto netto in presenza di qualcosa di diverso dal “Duca di Scilla” di Errico Petrella...
Passate le ultime ore milanesi, possiamo finalmente immaginarci Wagner affacciato al finestrino del treno che corre in un’ora e mezza, attraverso Monza, verso il capolinea della Ca’ Merlata, contemplando campi e filari di gelsi della Brianza, le colline sempre più vicine, il profilo limpido delle Alpi a far da sfondo; la locomotiva che, sbuffando, termina la sua corsa in fondo a quella che oggi è la via Scalabrini, di fronte al crocevia dove si uniscono la via Varesina, la Milanese e la Canturina; gli sguardi dubbiosi dei soldati austriaci che, ancora una volta, scrutano il passaporto elvetico che protegge Wagner dall’ordine  di espulsione dai territori italici emesso dai ministri sassoni; il musicista che alza lo sguardo verso la sommità della parete collinare che sta di fronte, osserva la torre del castello dominato secoli prima dal Barbarossa (sulla vita del quale dieci anni prima aveva scritto un libretto) e il masso liscio incombente sotto ciò che resta del maniero, sufficientemente degno a ricordare Kareol, il castello di Tristano.
Tutto attorno, inaspettata alla vista, è una di quelle fioriture di inizio primavera che, con le prime giornate veramente limpide e soleggiate di fine marzo, fanno biancheggiare ancor oggi tutte le pareti dei colli, non ancora verdeggianti, che scendono verso la convalle. Tre volte a settimana, da Camerlata, partiva la diligenza diretta a Flüelen, passando per il Gottardo: a noi piace pensare che un contrattempo possa aver costretto Wagner a fermarsi a Como una notte. Vederlo percorrere le mura esterne della città, da Porta Torre; entrare in città dal Portello su quella che allora era Piazza Castello, guardando con sentimenti alterni la facciata neoclassica del “teatro all’italiana” suo coetaneo; sfiorare la facciata quattrocentesca della Cattedrale,  fino ad affacciarsi sul Porto di Como. Magari per cercare alloggio nelle stesse stanze dove, poco più di vent’anni prima, era nata da Marie Catherine d'Agoult la figlia dell’amico Franz Liszt, Cosima. La ragazza, allora, faceva coppia con il giovane direttore d’orchestra Hans von Bülow, che di anni ne aveva sei o sette più di lei. Sapendolo cresciuto a Dresda, come lui, Wagner lo aveva introdotto nell’ambiente musicale di Zurigo: lì si erano salutati tutti e tre, alla metà d’agosto dell’anno precedente, poco prima della partenza di Wagner per Venezia, Hans in lacrime, Cosima in un silenzio misterioso, cupo e affascinante.
Dell’avventura di Liszt sul Lago di Como, risalente al 1837, Wagner avrebbe potuto aver letto già nei suoi “anni di galera” a Parigi: la Revue Musicale de Paris aveva allora riportato con puntualità corrispondenze di Liszt da Como, nelle quali la viscontessa d’Agoult in dolce attesa di Cosima – che ancora non si firmava, à la mode, Daniel Stern – metteva ogni tanto lo zampino. Erano critiche non tenere verso Milano, l’ambiente della Scala, i vizi dell’opera e del pubblico italico. Le stesse che Wagner, purtroppo, ribadisce. Le rivoluzioni covavano, Liszt suonava nei salotti le sue mirabolanti variazioni sul “Suoni la tromba, e intrepido” belliniano e Wagner fantasticava fra storia e leggenda mettendo la musica alle vicende di Cola di Rienzo per volare con il suo Fliegende Holländer.
Nella luminosa giornata primaverile di fine marzo del 1859, è un altro Wagner a lasciare un briciolo di cuore  alla lussureggiante fioritura che punteggia le sponde del primo bacino del Lago di Como, che va ad aggiungersi all’attaccamento per il Lago Maggiore e i laghi alpini in generale, in riva ai quali tornerà lungo tutta la sua vita. Dall’attrazione verso la natura, l’animo del musicista è ormai esaltato verso i confini supremi del mito; non solo ha già preso forma compiuta la “Tetralogia” -“Rheingold”, Walküre” sono ben più che delineati -  ora è la passione, il dramma di Tristano che esige di essere portato a compimento.
Il fatto che Como sia luogo tutto fuorché sicuro (alla Battaglia di San Fermo mancano due mesi giusti) e l’ansia di musicare l’ultimo atto di “Tristan und Isolde” fra le amate montagne elvetiche portano via Wagner in fretta dai rigogliosi fiori lariani. Superato il Gottardo fra due mura di neve, dal freddo spiacevole di una piovosa Lucerna – la sua Delo – l’autore di “Tristano e Isotta” tornerà con il pensiero più d’una volta alla ricca primavera comasca.
Stefano Lamon

verdi e wagner, vite parallele sui laghi lombardi




recensione Verdi a Cernobbio

 
R I G O L E T T O

TRIO RENAISSANCE
conduce la serata il Dottor Paolo Zoppi
Falstaff del “Club dei 27” di Parma
Grand Hotel Villa D'Este - Cernobbio -
Sala Regina - Domenica 9 Giugno 2013





Giuseppe Verdi è tornato là dove Giulio Ricordi lo ospitava, in riva al Lario. La Sala Regina del Grand hotel Villa d’Este era affollata come sempre agli appuntamenti degli Amici della Musica di Cernobbio, domenica sera. L’ennesimo acquazzone nell’anno mondiale dedicato all’acqua non ha scoraggiato gli appassionati, intenzionati ad incontrare nei panni del Cigno di Busseto il Falstaff del Club dei 27 di Parma ovvero Paolo Zoppi. Il presidente dell’originale sodalizio di Parma ha introdotto l’”opera per tre” Rigoletto eseguita nella versione per violino, violoncello e pianoforte di Viktor Derevianko dallo stesso alla tastiera con Mihaela Costea al violino e Diana Cahanescu al violoncello, prime parti dell’Orchestra della Fondazione Toscanini di Parma. Il Trio Renaissance – questo il nome specifico della formazione – ha avvinto gli ascoltatori in quasi due ore di musica con la trascrizione del capolavoro verdiano della Trilogia popolare: una rielaborazione efficace, curata nel portare in evidenza attraverso estensione e timbrica dei tre strumenti ogni valenza espressiva della musica di Verdi non senza richieste virtuosistiche per ciascuno dei tre esecutori. Lungi dall’essere superata o dimenticata, quando è ben fatta – e di ciò gli Amici della Musica di Cernobbio non mancano di fornire il proprio numeroso pubblico – la forma della trascrizione continua ad emozionare, mantenendosi ottimo veicolo comunicativo. Come Paolo Zoppi ha fatto dire a Verdi, “dallo strumento si possa cavar fuori i sentimenti dei personaggi” è qualcosa che non dobbiamo perdere. Merito agli esecutori, che si sono dati un robusto impegno sostenuto con perizia e passione in un lavoro fresco d’inchiostro: sui leggii erano le parti ancora manoscritte per quella che di fatto, a Cernobbio, è stata la “seconda” dopo il debutto parmense di qualche settimana fa. L’evento nei luoghi di visita verdiana è stato filmato dal regista Gianpaolo Bigoli; da ammirare anche le statue lignee di Gilda e Rigoletto realizzate dallo scultore parmense Blét, al secolo Luciano Belletti.
Stefano Lamon

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