Sul diritto all'eccellenza fra Conservatori e riforma degli studi musicali

Nel numero di settembre 2014 di Suonare news, l'interessante rivista diretta da Filippo Michelangeli, il pianista Roberto Prosseda pubblica alcune "Riflessioni sui Conservatori italiani" dal titolo "Il nostro diritto all'eccellenza".
Mi sono sentito di dir la mia all'amico Filippo Michelangeli con questa lettera.

Caro direttore,

ho letto le Riflessioni del maestro Roberto Prosseda sui Conservatori italiani e sul “diritto all’eccellenza” pubblicate nel numero di Suonare news di settembre 2014 e non ho saputo resistere dallo scrivere le righe di “controriflessione” che seguono. Il dibattito su didattica della musica, eccellenze, insegnamento musicale da troppo, troppo tempo si aggroviglia su posizioni tutte italiane che, però, vanno dipanate perché si abbia a riflettere con consapevolezza e obiettività. Ci tengo, perciò, a sottoporre alla tua e nostra rivista un punto di vista diverso, sperando di offrire un contributo utile a completare il quadro.

Premetto che condivido pienamente e con convinzione tutta la premessa di Prosseda sulla serietà e delicatezza della formazione del musicista, sulla profondità del rapporto fra allievo e docenti, sulla necessità di dedizione e metodo. Dove inizio a non ritrovarmi, è sulla la lettura dello stato dell’arte degli studi musicali in Italia e sull'attuazione, ormai quasi ventennale, della riforma. Vedo in varie parti dell’intepretazione di Prosseda la posizione "dalla parte del Conservatorio" cui se ne deve affiancare un’altra, non certo nuova o isolata.

La prima chiarezza va fatta sui numeri, chesono oggettivi e hanno il loro peso nel discorso. Nell’articolo si evoca al Conservatorio la necessità, in “molti casi” a tutt’oggi, di essere scuola di avviamento alla musica, affermando che la diffusione di SMIM - le Scuole medie a indirizzo musicale - e dei Licei musicali pur freschi di istituzione, è insufficiente. Disomogenea, può essere, anzi sicuramente: ma, dati alla mano, rispetto alla cinquantina di Conservatori italiani, i corsi SMIM attivi sul territorio nazionale sono oltre 1400 e gli Istituti superiori sedi di Liceo musicale (dati CNAFAM)  113, di cui 102 statali e 11 paritari.

Se i Conservatori vogliono essere scuole di musica per avviare allo studio di uno strumento giovani e giovanissimi, oggi, è dunque spesso per scelta propria, non per bisogno insostituibile. Bisogno occupazionale? Bisogno di evocare a sé la sola ricerca delle eccellenze?

Il ragionamento, allora, si sposta sul fronte delle finalità formative dei rispettivi ordini di scuola. La SMIM, come indicato nei Programmi istitutivi del 1999, ha da essere educativa e formativa: il suo mandato è quello di iniziare a costruire la formazione della potenziale eccellenza, garantendo di impegnarsi a coltivarla con attenzione, tanto quanto di un amatissimo ragazzino diversamente abile. Un atteggiamento pedagogico che richiama maggiori, più ampie e diverse responsabilità e competenze pedagogiche, senza escluderne nessuna ,e che semmai conduce a ragionare sul successivo punto toccato da Prosseda, la formazione, la mentalità e il reclutamento degli insegnanti. Lì si gioca la vera partita che va chiarita definitivamente. Dal mio punto di vista, lo faccio con un esempio di esperienza vissuta.

Sono stato per qualche anno supervisore di tirocinio nei Bienni di secondo grado per la formazione dei docenti di Musica e Strumento musicale in Conservatorio. Lì ho conosciuto giovani appassionati che hanno studiato la didattica generale e specifica musicale e strumentale, hanno accresciuto la passione e le competenze per l’insegnamento: vari di loro oggi sono già al lavoro a tempo indeterminato, passati “di ruolo” ben prima di colleghi di altre classi di concorso. In quegli stessi corridoi di Conservatorio dove prestavo il mio compito, ho anche ascoltato più volte la voce di docenti dell’Istituto di Alta Formazione che, senza troppe remore, sparava a zero nei confronti delle presunte incapacità formative didattiche e pedagogiche degli insegnanti delle SMIM, tacciati di non impostare correttamente, di mandare dopo le medie in Conservatorio alunni non adeguatamente avviati al percorso d’eccellenza o addirittura impreparati. Come se solo all’ambiente del Conservatorio e ai suoi formatori fosse dato di condurre a maturazione la professionalità o la potenziale eccellenza degli allievi.

Forse, in parallelo, ci si potrebbe chiedere perché e a vantaggio di chi, a livello istituzionale, non si stia provvedendo a stabilizzare in tempi brevissimi e definitivamente la selezione e il reclutamento dei docenti di discipline musicali nei Licei musicali: compiuto adeguatamente il quale, arriverebbero (e io auspico, arriveranno) ai Conservatori quegli alunni diciottenni, già adeguatamente  formati, con competenze tali da completare gli studi in un ambiente di eccellenza conclusivo, che si chiami universitario, di alta formazione, conservatoriale o quant’altro. Chi non crede a ciò è abbarbicato alla mentalità, dura a morire,che vuole per forza e solamente una Scuola di formazione musicale autoreferenziale, che si sente depositaria unica del suo Sapere, ma sempre più estranea alla realtà. Al contrario di studi su “doti musicali e problemi educativi” come quelli di Johannella Tafuri, di rilevanza internazionale e pubblicati sulle enciclopedie, assodati da tempo.

Prosseda cita il reclutamento alla Hochschule di Lipsia del 1843; sarebbe semmai interessante dare una panoramica sui sistemi di reclutamento negli Istituti universitari musicali d’Europa degli anni 2015! Solo poi, a mio parere, si potrà parlare del reclutamento dei docenti del Conservatorio, dei metodi di valutazione delle capacità didattiche, professionali e di relazione. Non basta saper suonare per saper insegnare, siamo d’accordo: mi chiedo che dire, allora, della figura di un docente a contratto indeterminato in Conservatorio con un pari contratto in un’orchestra. Al di là del “doppio ruolo” sindacale di cui alla Legge Boniver o della legittima possibilità di far lavorare qualche giovane meritorio in più, è legittimo porsi con buon senso la domanda se non sia di 24 ore anche la giornata della potenziale, eccelsa figura di un artista e docente che dovrebbe studiare e preparare adeguatamente ciascuna delle due attività.

Torno ad essere d’accordo, in conclusione, con Roberto Prosseda sulla necessità di concorsi interni per esami, che valutino eccellenza didattica e musicale. A quel punto la professionalità di ogni docente, a qualsiasi dei livelli di formazione si trovi, dalla scuola di base al perfezionamento, saprà far crescere adeguatamente i futuri musicisti.

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